SANTA MARIA CAPUA VETERE. Con tutta probabilità la violenza nel carcere casertano di Santa Maria Capua Vetere non fu “un mero incidente di percorso”, ma “una costante nel rapporto tra gli indagati e i detenuti”. A sottolinearlo è il gip Sergio Enea, nell’ordinanza di custodia cautelare con la quale, lo scorso 28 giugno, ha disposto arresti in carcere, ai domiciliari, obblighi di dimora e provvedimenti di interdizione nei confronti di 52 persone, tra agenti della Polizia Penitenziaria, comandanti e funzionari dell’Amministrazione Penitenziaria. Nella Parte III dell’ordinanza il giudice spiega che i provvedimenti erano necessari in quanto sussistenti “il pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento delle prove”.
La Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, nel frattempo, ha presentato appello al Riesame contro la decisione del Gip di respingere alcune richieste di misure cautelari, come quella inflitta al provveditore regionale alle carceri Antonio Fullone, sospeso dal servizio perché accusato di depistaggio e favoreggiamento, per il quale erano stati chiesti i domiciliari. Il rapporto tra agenti e carcerati, fatto di violenza, è “inaccettabile” in uno Stato di Diritto, evidenzia Enea, rimasto particolarmente colpito dalla “assoluta naturalezza e mancanza di ogni forma di titubanza con cui gli indagati hanno sistematicamente malmenato le vittime”.
Un rapporto tra agenti e carcerati, fatto di violenza, è “inaccettabile” in uno Stato di Diritto, evidenzia il gip sammaritano Sergio Enea, rimasto particolarmente colpito dalla “assoluta naturalezza e mancanza di ogni forma di titubanza con cui gli indagati hanno sistematicamente malmenato le vittime”. Lo si evince dai video acquisiti durante l’indagine, che si è pure tentato di alterare nell’ambito dell’azione di depistaggio scattata per nascondere quella che sarebbe dovuta essere “una perquisizione straordinaria”. Enea ritiene, infatti, che se si fosse trattato di un episodio del tutto isolato, “era lecito attendersi che gli agenti avrebbero mostrato quantomeno una qualche esitazione… sarebbe emerso nitidamente dai filmati”.
“Ma ciò – scrive, lapidario, il giudice del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – non traspare nel modo più assoluto”, “…nei loro gesti non c’è mai quella esitazione che inevitabilmente avrebbe manifestato anche visivamente colui che non è affatto aduso al compimento di atti di estrema violenza”. E che la violenza sia percepita dagli agenti “come un presidio di sicurezza essenziale” lo si deduce anche, sottolinea Enea, dall’analisi dei messaggi in chat trovati sui cellulari sequestrati agli indagati. In uno, inviato la notte tra il 5 e il 6 aprile, quella seguente la protesta dei carcerati innescata dalle preoccupazioni per il caso di Covid, peraltro scoperto attraverso i media, c’è tutta la delusione degli agenti della Penitenziaria, manifestata dal comandante al provveditore: “Il personale smcv è molto deluso” e ancora “si sono raccolti per contestare ‘operato del comandante”.
Insoddisfazione a cui fanno da contraltare le esclamazioni di giubilo, sempre in chat, sia immediatamente prima, sia dopo la perquisizione straordinaria giudicata come “un completo successo”. “Allora apposto domani chiave e piccone in mano”, “ok domate il bestiame” e “abbiamo ristabilito l’ordine e la disciplina”. E ciò “che agli occhi del cittadino comune appare una orribile mattanza”, alla Polizia Penitenziaria diviene “una operazione eseguita in modo brillante ed efficace di cui coloro che l’hanno diretta sul campo si sono ampiamente vantati con i loro interlocutori”.
Il giudice, infine, stigmatizza il comportamento dei vertici dell’amministrazione penitenziaria regionale “da cui era lecito aspettarsi quantomeno la volontà di fare luce in ordine ai gravi episodi denunciati dai detenuti” e invece “si sono, fin da subito, adoperati per salvaguardare in ogni modo la posizione” di coloro che sono “implicati nelle violenze, rendendosi disponibili… al confezionamento di atti falsificati da inoltrare all’Autorità Giudiziaria”.