Sparanise. In questi giorni mi è capitato di scambiare due chiacchiere con un ragazzo originario di Sparanise, Biagio Sarnataro. Biagio è del ’90, ha studiato filosofia e si è addottorato a Pisa nel 2019. Poi ha girato lo stivale facendo il cameriere. Tornato a Sparanise da un anno, oggi insegna storia e filosofia in un istituto superiore. La mia chiacchierata si è soffermata su un argomento particolare che ha catturato la mia attenzione in questi giorni, un articolo di filosofia della matematica uscito su Archimede, una nota rivista di divulgazione matematica. Mi sono chiesta: un filosofo che scrive di matematica? La mia curiosità è stata così forte che sono andata a cercarlo e intervistarlo.
I.Ciao Biagio, come stai? Sono qui per qualche piccola curiosità… ho letto il tuo articolo di filosofia della matematica uscito a metà gennaio su “Archimede. Rivista per gli insegnanti e i cultori di matematiche pure e applicate”. Come mai hai scritto per una rivista di matematica tu che sei un filosofo?
B.Ciao Imma. Dopo un anno di pandemia stanno bene solo quelli che confidano in Mario Draghi mi sa. Le sofferenze protratte danno impulso alle adesioni fideistiche più varie. C’è da averne rispetto, anche perché si tratta di autoillusione nella maggior parte dei casi, ma neanche si può continuare a tacerne la radice. Per quanto riguarda l’opportunità di scrivere per “Archimede”, posso dire: è dipesa da due ragioni. Dalla natura della rivista; dal senso della mia proposta alla rivista.
Per la prima: “Archimede” è una rivista legata all’insegnamento e alla divulgazione della matematica, nonché a temi di comunicazione scientifica. Dal 2016 è diretta da Roberto Natalini, direttore anche dell’Istituto per le Applicazioni del Calcolo “Mauro Picone” del CNR (oltre a essere promotore di altri progetti, anche europei, di divulgazione e comunicazione scientifica). Per la seconda: il mio articolo è un piccolo pezzo di storia della filosofia della matematica. Provo a spiegare un episodio spiegato da due eminenti figure, in due momenti diversi, sotto due aspetti che sembrano distanti e che invece si sono rilevati sovrapponibili.
Le due figure sono: Italo Calvino e Gabriele Lolli. Quest’ultimo sicuramente molto meno conosciuto del primo, ma certo non secondario nel panorama culturale italiano. L’episodio è una stagione durata qualche decennio e che passa sotto il nome di crisi dei fondamenti.
I.La matematica quindi è sempre stata in relazione con la filosofia? Puoi farci un esempio?
B.Restiamo agli argomenti che uso nel mio articolo. Ho provato a ripercorrere ciò che Gabriele Lolli ha ben affrontano nel suo Discorso sulla matematica. Una rilettura delle Lezioni Americane di Italo Calvino (Bollati Boringhieri, 2011). Così instradato, mi interessava guardare, per il poco che mi è riuscito (spero non troppo arbitrariamente) e a partire da un angolo visuale divulgativo, la radice filosofica della crisi a cui accenno sopra e alle conseguenze – filosofiche, letterarie, matematiche – che quella crisi ha determinato.
Considera che nel 1963 un fisico e letterato inglese, Charles Percy Snow, pubblicò un libro (che raccoglieva 2 articoli usciti nel 1959) nel quale sanciva, a parer suo, l’incolmabile distanza tra il mondo della letteratura e quello della scienza. Il testo, immediatamente divenuto molto noto e discusso, non poteva che avere come titolo: The Two Cultures: a second look. Le due culture, appunto. È altrettanto noto quanto un discorso del genere non abbia retto e non regga tuttora alla prova dei fatti. Tenendo sullo sfondo Asimov, come anche Lovecraft e senza discostarci troppo: Calvino ne è una smentita. Ugualmente, lo fu al tempo il francese Raymond Queneau (cioè l’intera corrente letteraria, che va dall’OULIPO Ouvroir de Littérature Potentielle francese all’OPLEPO Opificio di Letteratura Potenziale italiano). Lo sarebbe oggi Stefano Bartezzaghi o il fisico Carlo Rovelli. Bhe… a questo punto si penserà: ma se Snow stesso era fisico e letterato… E infatti: secondo Snow, nella storia dell’Occidente si è arrivati ormai al punto da dover ammettere l’evidente differenza antropologica, oltre che epistemologica, che intercorre fra il conoscere oggettivo (come si dice) dei fatti di natura e l’occuparsi di ciò che fanno gli uomini in modo più o meno creativo.
Come giustificare altrimenti le opposizioni costitutive del nostro mondo come anima e corpo, cultura e natura, soggetto e oggetto e via dicendo? Ecco, il punto è, e lo dico citando il commento a Snow di uno dei filosofi italiani più importanti del secolo passato, Giulio Preti: scienza e letteratura vanno comprese in senso fenomenologico e strutturale, non con uno sguardo contaminato esclusivamente dal fatto che, nella maggior parte dei casi, chi sa comporre in esametri dattilici non sa trovare una derivata e viceversa. Discorso quanto mai attuale se si guarda all’inarrestabile processo di inaridimento e specializzazione dei programmi scolastici che ci ha fatto perdere l’orizzonte complessivo del sapere.
Discorso quanto mai necessario se si tiene presente la pretestuosità totale dell’alternanza scuola-lavoro di Renzi: la scuola è già un lavoro per i ragazzi, dovremmo alternarla col sapere, scommettere sulle connessioni delle capacità più che sulla corsa al reddito. E non va meglio se pensiamo a cosa promette quel “liceo di 4 anni” proferito dal neo Ministro dell’Istruzione… ma si dirà, in Inghilterra e non so dove altro, è già così. Bene, portateli in Inghilterra, e non so dove altro, i vostri rampolli! O no?
I.Cosa vuol dire “comprensione fenomenologica e strutturale” della matematica e della letteratura?
B.Provo a spiegarlo parlando di una parola. Nel 1975 Aldo Giorgio Gargani, filosofo al pari di Preti, conosciuto molto meno dell’importanza che riveste, pubblica un libricino deflagrante: Il sapere senza fondamenti. La condotta intellettuale come strutturazione dell’esperienza comune (ripubblicato da Mimesis nel 2009, con l’introduzione di Arnold Ira Davidson, che è stato, per dirne una e neanche la più importante, l’ultimo allievo di un filosofo come Michel Foucault.
Cito da questa edizione). Gargani, come fa Lolli mentre rilegge il canovaccio delle Lezioni Americane di Italo Calvino, si rivolge alla crisi dei fondamenti che all’inizio del ‘900 investe la matematica prima, e poi tutta la cultura europea. Lui la chiama crisi del modello oggettuale di spiegazione e in uno dei passi più significativi del suo libro ci tiene a dirci che si tratta della scoperta di un fenomeno particolare dell’occidente intellettuale: l’inafferenza.
Secondo Gargani infatti: «Alla base dei sistemi linguistico-concettuali e delle proprietà che competono ad un sistema notazionale sussiste una matrice decisionale che è l’estensione e la complicazione di modelli comportamentali formati attraverso i sistemi di permissioni e di divieti delle forme della vita umana. Abiti intellettuali e schemi concettuali sono riconducibili ai bisogni corrispondenti a stipulazioni, a convenzioni di un certo tipo […] Ma qual è stata la matrice degli abiti mentali e intellettuali che hanno prodotto l’invadenza del modello oggettuale e che hanno indotto ad occultare sotto la superficie di oggetti, cose, sostanze le decisioni, i comportamenti, i costumi di un’intera forma di vita umana?» (Il sapere senza fondamenti, p.67). Risposta: «Esiste un’analogia formale tra la distorsione che si è storicamente prodotta nell’interpretazione della relazione uso-significato e quella che si è altrettanto prodotta nella connessione lavoro-merce.
I materiali sui quali opera l’apparato della produzione, per sé stessi, non detengono alcuna proprietà o alcun potere oltre le qualità naturali che risultano ascritte ordinariamente ad essi. Nondimeno, allorché questi materiali, attraverso la mediazione dei processi lavorativi, divengono merci, oggetti destinati allo scambio, essi vengono assunti come oggetti che detengono per se stessi un valore, una proprietà che è stata definita appunto sensibilmente sovrasensibile» (Il sapere senza fondamenti, p.67).
Qui Gargani cita Karl Marx e si riferisce al problema del valore di una merce, a ciò che ne determina, sempre nel lessico di Marx, il carattere feticistico accanto al prezzo. E dunque, continua Gargani, e voglio ancora riportare le sue parole perché le trovo insuperate: «Analogamente i materiali del linguaggio sono vibrazioni dell’aria o di qualche altro mezzo fisico, oppure, per esempio, macchie di inchiostro sulla carta: tuttavia, non appena queste grandezze fisiche vengono a costruire, attraverso le regole di formazione e di trasformazione disposte dall’uso, un linguaggio, esse non sono più soltanto mere vibrazioni di un mezzo fisico, né meri segni di inchiostro sulla carta, ma divengono oggetti forniti di un significato, assurgono a quello statuto di sublimazione logica in cui un oggetto materiale è attraversato dal soffio vitale del significato» (Il sapere senza fondamenti, pp. 67-68). Parallelamente al valore, anche il significato appare come una proprietà occulta delle proposizioni o di un insieme di segni, e, analogamente alla merce, anche nel caso di un significato si creano momenti feticistici, che, per farla molto breve, vanno dalla semplice esternazione ideologica all’uso settario di feticci epistemologici – come vengono definiti da Gargani stesso.
Più precisamente, e per concludere questa lunga citazione: «vogliamo dire che la rappresentazione della conoscenza nei termini plastici di un possesso, di un’appropriazione di oggetti, stati mentali, interiori è inafferente e irrilevante ai fini della funzionalità delle procedure cognitive, così come è inafferente l’istituto della proprietà privata per l’esplicazione dei processi lavorativi» (Il sapere senza fondamenti, p.124).
E tutto ciò come si presta a interrogare il discorso della matematica e della filosofia della matematica?
Ecco… ti riporto l’esempio che faccio nell’articolo. Nessun teorema incluso in un sistema formale potrà dar conto dei suoi fondamenti assoluti. Se i singoli dispositivi matematici risultano efficaci per la conoscenza specifica di certi fenomeni, dobbiamo però concludere che anche per la matematica esiste un limite reale al potere della sua modellizzazione della realtà. E come si sostiene questa affermazione? Sbirciando nel lavoro del logico viennese Kurt Gödel. Esplorate tutte le possibilità dell’astrazione, il giovane studente dell’Università di Vienna all’inizio degli anni ’30 del secolo scorso segna con la sua opera il superamento dell’ideale epistemologico del sistema assiomatico.
Dopo Gödel anche un filosofo che non sa risolvere un integrale può sapere e interrogarsi rispetto al fatto che qualunque insieme di assiomi di partenza, qualunque insieme di regole consistenti si adotti per manipolare i simboli matematici implicati, esisterà sempre qualche proposizione esprimibile nel linguaggio di quei simboli la cui verità o falsità non potrà essere stabilita usando quegli stessi assiomi e quelle stesse regole. In breve, è come se Gödel avesse detto che anche nel caso del discorso più coerente possibile, per capire di che cosa è fatta questa coerenza, si deve cercare fuori dal discorso stesso.
Gödel la definisce come indecidibilità dell’aritmetica. Ripeto: nessun teorema incluso nel sistema formale può dar conto dei suoi fondamenti assoluti. Anche per questo siamo lontani dalla concezione della matematica come economia del pensiero, si legge ad esempio alla fine del Discorso di Gabriele Lolli. Per matematica sembra più opportuno forse intendere una “inflazione di pensiero”.
I. Numeri e forme ti hanno catapultato in una realtà che ti ha fatto scoprire il pensiero di scrittori del ‘900 in stretta relazione con la matematica come Italo Calvino. Cosa ne pensi di questo scrivere immerso in due mondi?
B. Se restiamo alla metafora della duplicità, che è solo più immediato, allora devo dire che l’inafferenza è già un ponte che svela l’esistenza di almeno due mondi: quello destituente dell’uso, come lo definisce Gargani, cioè delle prassi e delle condotte di vite autoemancipantesi, e quello costituito – ancorché costituente – del dominio su questa autoemancipazione.
Dalla matematica alla letteratura, passando per, niente di meno che, le forme di governo. Ora, se si legge il mio articolo arrivo a dire come Calvino si ponga essenzialmente il problema della compresenza di più mondi a partire dall’ingresso in mondi narrativi, per arrivare a riproporre la domanda delle domande: quali sono i limiti del linguaggio? Tuttavia, la questione per me adesso suona però così: scoperta l’inafferenza e l’irrilevanza del significato ai fini delle funzionalità delle procedure cognitive; scoperta l’inafferenza e l’irrilevanza dell’istituto della proprietà privata per i processi di produzione e di riproduzione sociali, si deve ammettere che se il significato e la proprietà privata sono diventati egemoni nei loro sistemi sociali di riferimento, qualcosa deve pur essere successo; e di questo qualcosa si deve non solo tenerne conto, ma darne conto. E come? Intervenendo sulla materialità del significato e sulla materialità del valore.
Faccio qualche esempio di autori sulla questione: nel primo caso, per una materialità del significato, possiamo farci aiutare dallo studio delle opere di Carlo Ginzburg, in particolare dalla prospettiva micrologica della sua microstoria.
Nel secondo caso, per una materialità del valore, sappiamo che si tratta, senza timore di smentita, (penso ad autori come John Bellamy Foster e Silvia Federici e alle ricerche di Emanuele Leonardi e Stefania Barca, ai collettivi di Ecologia Politica, o quelle sulla logistica e il capitalismo postcoloniale di Sandro Mezzadra ad esempio) di critica dell’economia politica (su basi rinnovate). Ma, sento di aggiungere, quando oggi si parla di materialità e di storia non si può non tenere a mente il concetto di compost di Donna Haraway o non leggere Menti parallele. Scoprire l’intelligenza dei materiali, di Laura Tripaldi. Così come non si può più fare finta che non esista un Illuminismo Psichedelico.
I.Devo chiederti di spiegarmi, perché sembra davvero interessante, il più concretamente possibile, i concetti di materialità del significato e materialità del valore…
B.Guarda, ti faccio un esempio che li acchiappa entrambi e lo faccio citandoti. Anzi direi meno male che ho letto un tuo articolo pochi giorni fa e posso prenderti a pretesto! Tu hai scritto delle celebrazioni di un rito al quale è molto legata la nostra comunità. Dico nostra, per chi non lo sapesse, perché io e Imma siamo di Sparanise (Caserta) entrambi.
A Sparanise l’8 Febbraio si festeggia la Madonna del Torello. Da piccolo mi piaceva pensare che fosse la protettrice di quelli “scarsi a pallone” come me… nell’articolo racconti il racconto, cioè prendi il modo con il quale la storia del ritrovamento di un quadro della Madonna da parte di una ragazzina sia stato tramandato, di generazione in generazione. Potrei perfino scriverti la canzone che le donne cantano in processione: la so a memoria. Come tutti quelli che hanno avuto almeno una nonna a Sparanise. Ma il punto è: spesso le madonne appaiono a giovani donne molto povere. È una costante, e una costante rivela un ingresso in quella che si può chiamare la morfologia del mito e del racconto popolare. Quella ragazza, “chiamata Filumena”, come si sente nella canzone, che a Sparanise corse dal suo padrone quando si accorse che la Madonna le stava dicendo di scavare proprio lì e non altrove, fa materialmente esperienza della sua dimensione materiale e noi della dimensione materiale che nella metaforicità e nella sublimazione del racconto popolare si esprime attraverso questa esperienza.
Per la prima volta il plusvalore estrattole dal padrone non è l’unico super potere che riconosce. Da quando trova il quadro della Madonna sa che anche lei è capace di cose straordinarie. Non solo vive in due mondi, quello del significato e quello del valore ma, per la prima volta Filumena agisce sia il significato che il valore.
I.Scienza e letteratura sono mondi contrapposti, facce di una stessa medaglia oppure entità che interagiscono dinamicamente, trovando equilibri diversi a seconda dei momenti storici e dei protagonisti. Quando ti ho chiamato per proporti questa chiacchierata mi dicesti che stavi leggendo l’ultimo libro di Chiara Valerio, scrittrice e matematica di Scauri. Hai trovato similitudini tra “La matematica è politica” e il tuo lavoro?
B.Aiutati da Calvino, da Lolli, si capisce come una crisi intellettuale grande come quella dei fondamenti, delle potenzialità di spiegazione… così come delle geometrie non-euclidee, abbia spinto molti autori a credere, finalmente, a una essenziale sorellanza tra le diverse discipline. Come hai detto tu, a natale mi sono regalato l’ultimo libro di Chiara Valerio, La matematica è politica (Einaudi, 2020). La Valerio ha fatto l’Università a Napoli. Più che di similitudini devo dire che c’è una pagina del libro che mi ha accompagnato mentre rispondevo alle tue domande. Te la riporto brevemente.
Un giorno, non meglio precisato, in un corridoio del dipartimento di Matematica di Napoli, nella sede di Monte Sant’Angelo, su una sedia di legno chiaro, scomoda e richiudibile, dietro di me avevo un’ampia finestra rettangolare oltre la quale si muovevano, diffondendo profumi nell’aria, i cespugli di rosmarino e lavanda, ai piedi calzavo un paio di Adidas rosse con le strisce bianche, modello Gazelle, davanti a me le porte dei bagni sulle quali era disegnata una gaussiana che sembrava, o voleva sembrare, ipotizzo, un fallo, dentro di me c’era il mondo nuovo squadernato dall’idea di probabilità soggettiva. E della matematica come disciplina, come ginnastica posturale, per stare nel mondo e tentare di interpretarlo (La matematica è politica, p.9).
Chiara stava leggendo, ci dice, Bruno de Finetti, e scoprì che la differenza fondamentale da rilevare è sempre nell’attribuzione del perché: non perché il fatto che io prevedo accadrà, ma perché io prevedo che il fatto accadrà. Non tanto e non solo il perché è probabile che uno disegnerà un fallo sulla porta di un cesso, ma il perché a me poi mi sembrerà essere una gaussiana e del perché, poi, in entrambi i casi, risulterà così illuminante vivere con lo sguardo perso nei due mondi, quello dei falli delle porte dei cessi e quello delle gaussiane che non sanno di esserlo. E ritorno.
I.Grazie per questa chiacchierata spero di rivederti presto perchè no per un altra intervista.
B.Grazie a te a presto.