Maddaloni. Condanna dolce per la chef Emilia D’Albenzio, moglie dell’ex vicebrigadiere Lazzaro Cioffi e figlia di Mimì D’Albenzio. Alla donna sono stati inflitti due anni in Appello per intestazione fittizia di beni: una riduzione di pena ottenuta grazie all’assoluzione dal reato di riciclaggio e all’esclusione dell’aggravante mafiosa nella vicenda riferita alla proprietà del ristorante sull’Appia.
La D’Albenzio, già ristretta ai domiciliari dopo un periodo in carcere, è ora libera. In primo grado era stata condanna a 6 anni di reclusione per intestazione fittizia di beni e riciclaggio in favore del clan Ciccarelli di Caivano, al quale faceva riferimento Pasquale Fucito detto “Shrek”, il ras dello spaccio che aveva a libro paga – secondo la Dda – anche il marito Lazzaro Cioffi per il quale il processo è ancora in corso.
Il 20 aprile 2018, ad esempio, poche ore dopo il blitz che spalancò le porte del carcere al marito Lazzaro Cioffi, la donna contattò un militare in servizio presso la stazione dei carabinieri di Castello di Cisterna, dove lavorava ha lavorato per il 27 anni il coniuge. Il carabiniere che le ricordò che ciò che sta facendo era vietato e la comunicazione si interruppe.
La donna, secondo l’accusa, aveva proseguito però a violare e prescrizioni contattando non solo i parenti ma anche un ex collega del marito e la badante del padre pure per discutere della strategia difensiva e dei colloqui tra figli e coniuge detenuto. Stando alle indagini, inoltre, la D’Albenzio riceveva amici e parenti anche a pranzo e cena, incurante del divieto impostole. In una circostanza suggerì alla figlia di recarsi nell’ufficio del padre per prendere gli effetti personali ma anche appunti o per discutere con l’ex collega del marito delle strategie difensive e dei suggerimenti da far giungere al marito.