Voto di scambio e spaccio, il verdetto: 9 condanne. I NOMI

Caserta. Quasi dimezzate le richieste della Procura. Da un secolo di reclusione invocato a settembre dal pm della Dda Landolfi si è passati a poco più di 50 anni di carcere complessivi inflitti dal tribunale di Napoli nei confronti di 9 imputati, che hanno chiesto l’abbreviato nell’ambito dell’inchiesta su voto di scambio e spaccio.

LA SENTENZA

Sono stati inflitti 9 anni e 4 mesi per il ras di Caserta Giovanni Capone, referente per il capoluogo del clan Belforte; 8 anni a Vincenzo Rea, 7 anni e mezzo per Mario De Luca, 7 anni e 4 mesi per Antonio Merola, 6 anni per Modestino Santoro, 5 anni per Antimo Italiano, 3 anni per Clemente Vergone, 3 anni per Ferruccio Coppola, 1 anno per Virginia Scalino (pena sospesa). Ha patteggiato 3 anni e mezzo Giovanni Gualtieri.

In sede di requisitoria la pena più elevata era  stata invocata per il ras dei Belforte Giovanni Capone che rischia 20 anni, mentre erano stati chiesti 16 anni ciascuno per Antimo Italiano e Vincenzo Rea, 14 anni per Antonio Merola, 10 per Mario De Luca, 9 per Modestino Santoro, 8 per Virginia Scalino, 6 per Clemente Vergone, 4 anni e 9 mesi per Ferruccio Coppola.

Gli indagati (difesi dagli avvocati Gaetano Laiso, Nello Sgambato e Michele Di Fraia) sono di Limatola, Caserta, San Nicola la Strada, Maddaloni, Casal di Principe e Capodrise.

 

L’INDAGINE

L’attività investigativa si focalizzata sull’intervento del “clan Belforte” sulla città di Caserta durante le consultazioni elettorali per il rinnovo del Consiglio Regionale della Campania, svoltesi il 31 maggio 2015. Tale intervento di CAPONE Agostino e del clan da lui retto si manifestava secondo la Procura in due modi: imponendo ai candidati di avvalersi, per il servizio di affissione dei manifesti elettorali nella città di Caserta, di una società intestata alla moglie o intervenendo per condizionare il voto ed orientarlo in favore di candidati disposti a versare al clan somme di denaro, buoni pasto e buoni carburante.

PIZZO SUI MANIFESTI

Le indagini hanno permesso di accertare che, CAPONE Giovanni, all’epoca detenuto, utilizzando dei “pizzini” aveva dato precise disposizioni al fratello CAPONE Agostino, affinché si occupasse dell’affissione dei manifesti elettorali nella città di Caserta. Quest’ultimo, avvalendosi della collaborazione materiale di REA Vincenzo, ITALIANO Antimo, MEROLA Antonio e ZARRILLO Antonio, imponeva ai candidati di fare riferimento alla società di servizi “Clean Service”, a lui riconducibile in quanto intestata alla moglie, SEMONELLA Maria Grazia. Tale imposizione avveniva sia con intimidazioni esplicite, come captato nel corso delle intercettazioni, sia attraverso minacce rivolte ai singoli soggetti sorpresi ad affiggere i manifesti a tarda notte, sia coprendo i manifesti affissi senza ricorrere alla loro società, facendo poi arrivare il messaggio che tale inconveniente non si sarebbe verificato se si fossero rivolti alla società Clean Service. Tale condotta, di fatto, ha limitato la libertà contrattuale dei candidati, i quali, pur di poter continuare a svolgere la campagna elettorale anche attraverso l’affissione di manifesti, erano costretti ad affidare l’incarico di stampa ed affissione ad una ditta non scelta liberamente.

Secondo la Dda l’obiettivo di CAPONE Agostino era chiaramente quello di ottenere il controllo delle piazze di spaccio di Caserta, sfruttando la sua stabile appartenenza al clan camorristico dei Belforte la sua ascesa criminale come referente del clan su Caserta. Tale ambizione di accreditarsi come referente dello spaccio nel capoluogo, naufragava a causa delle difficoltà incontrate da CAPONE nell’onorare il debito contratto con i suoi fornitori, i quali, spazientiti dai continui ritardi, arrivarono persino a prelevarlo da casa sua e a trattenerlo in una località sconosciuta fino al pagamento di parte del debito.

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