San Cipriano d’Aversa. La mole imponente di collaboratori di giustizia susseguitasi negli ultimi anni ha portato in molti a credere che la criminalità organizzata abbia alzato la sua soglia di tolleranza verso i pentiti. Ciò che è avvenuto pochi mesi fa a San Cipriano, dove, da Antonio Iovine in giù in tanti hanno intrapreso la strada della collaborazione con la magistratura, fa pensare al contrario.
Il 10 ottobre 2018, a San Cipriano d’Aversa, sul portone di ingresso della casa di un collaboratore di giustizia, già affiliato al clan Zagaria , è comparsa la scritta “chi entra in questa casa è un pentito”. L’episodio è contenuto peraltro nella relazione semestrale della Dia resa nota proprio in queste ore. L’immobile, disabitato, nel 2013 è stato sequestrato in esecuzione di un decreto della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
“Finora le inchieste giudiziarie, lo stato di detenzione di quasi tutti i fondatori e di numerosi affiliati storici, la collaborazione con la giustizia di esponenti di spicco non sembrano avere comunque inciso radicalmente sui precedenti assetti, come invece accaduto in alcune aree napoletane. Molti esponenti di rilievo, anche se ristretti in carcere, controllano le zone di influenza, impartendo ordini all’esterno, mentre capi, gregari e fiancheggiatori dell’organizzazione detenuti continuano ad usufruire dei “benefici” di appartenenza al sodalizio, come l’assistenza economica in carcere, le spese di giustizia e il sostentamento della famiglia. Per il sodalizio è quindi fondamentale anche il ruolo di coloro che, presenti sul territorio, avvalendosi della perdurante forza di intimidazione del clan, persistono nella consumazione di reati funzionali a mantenere inalterate le ricchezze del gruppo” scrivono gli 007 nel dossier.