L’ex vivandiere smaschera la rete del boss: “Ci vedevamo al bar e mi davano i pizzini”. Un conto corrente fa saltare il banco

Casapesenna. Con i pentimenti degli ultimi anni, seguiti all’arresto del capoclan Michele Zagaria, nemmeno la cosca di Casapesenna rappresenta più quel mondo segreto e quasi inviolabile per l’Antimafia. Tra i primissimi a scoperchiare il vaso di Pandora c’è stato un ex vivandiere del boss catturato nel dicembre 2011, Generoso Restina. Fu lui il primo ad indicare nel bar Butterfly il luogo dove avveniva lo scambio di messaggi da recapitare all’allora primula rossa.

A consegnare quei pizzini, secondo il racconto di Restina, era proprio colui che, qualche anno dopo, sarebbe diventato l’ultimo “padrone di casa” di Michele Zagaria, l’idraulico Vincenzo Inquieto, proprietario dell’appartamento di vico Mascagni, dove il boss si nascose, protetto da un bunker, fino alla clamorosa cattura del 7 dicembre 2011. Insieme a Inquieto, Restina ricordò anche la presenza di un imprenditore che faceva da tramite. Ascoltato sul punto, già in una precedente inchiesta, Restina dichiarò che era proprio Inquieto, dopo l’incontro al bar, a dargli il manoscritto rigorosamente “all’uscita”.

Parole che hanno condotto gli investigatori su un sentiero che stamattina ha portato al blitz con arresti e sequestri. La Polizia di Caserta, insieme alla Dia di Bologna, Napoli e Firenze, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere disposta dal Gip di Napoli nei confronti di Giuseppe Santoro, 51 anni e Pasquale Fontana, 47, titolari di punti vendita ‘Butterfly’ del settore dolciario, accusati di associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni. Dalle indagini, partite da Bologna nel 2015, è emerso tra l’altro che, oltre a ospitare il boss dei Casalesi Michele Zagaria nella propria casa e in quella di familiari, Santoro avrebbe messo a disposizione di affiliati una pasticceria di Casapesenna per la consegna di ‘pizzini’ da destinare al capo clan, durante la latitanza. Inoltre è risultata la presenza dei Casalesi, in settori dell’imprenditoria, e in particolare nelle pasticcerie, con tentativo di infiltrarsi nel tessuto economico-sociale dell’Emilia-Romagna da parte di imprese nate e operanti in Campania.

L’indagine, condotta con intercettazioni telefoniche ambientali, partì da un conto corrente sospetto segnalato a Bologna e riconducibile a Santoro, considerato un uomo di Zagaria e già in carcere a Secondigliano per altre vicende. Poi gli accertamenti sono passati per competenza alla Dda di Napoli e sono proseguiti nel Casertano, con dichiarazioni anche di collaboratori di giustizia. Sono emersi incontri riservati con Michele Zagaria e con altri affiliati per pianificare le attività del clan. Santoro, inoltre, avrebbe ricevuto un grosso finanziamento da Zagaria, con cui era in società, che gli consentì di estendere l’attività commerciale della Butterfly Srl, aprendo vari punti vendita sul territorio campano e napoletano. Nei negozi venivano assunti diversi parenti di affiliati al clan, per procurare loro un lavoro apparentemente lecito. Sono state denunciate a piede libero altre otto persone, per intestazione fittizia di beni aggravata dal metodo mafioso. Su delega della Dda, sono state anche sequestrate quote societarie, conti correnti, immobili e auto riferibili agli indagati.

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