“Spara, spara dentro”: il folle raid alle pompe funebri. Intercettazioni e svolta dura del clan

Pignataro Maggiore/Capua. Un clan che torna violento, che smette di proseguire sotto traccia gli affari per tornare a far sentire la propria voce prepotente nell’agro caleno e non solo. Il quadro fotografato dall’ordinanza è quello di una cosca che, ora nelle mani degli eredi del boss detenuto Antonio Ligato, riprende il filo di soprusi e intimidazioni che negli ultimi anni sembra sopito. Una tregua favorita da un cambio generazionale che, ora, è arrivato. Non a caso sono quasi tutti i giovani i 18 destinatari dell’ordinanza eseguita ieri, anche se non a tutti viene contestata l’aggravante mafiosa.

L’episodio più significativo e dal quale l’inchiesta assume contorni tali da interessare la Dda è il raid ai danni delle pompe funebri Vagliviello. Nell’inchiesta sono confluite anche gli sviluppi degli accertamenti svolti dalla Squadra Mobile in relazione all’esplosione, avvenuta il 28 febbraio 2018, di alcuni colpi di pistola ai danni della saracinesca dell’agenzia funebre ubicata nel vicino comune di Sparanise.

Un raid avvenuto in pieno e con assoluto sprezzo dei rischi: alcuni testimoni hanno riferito di aver udito minacce anche prima dell’esplosione dei colpi. “Spara, spara, spara dentro” e, infatti, uno dei proiettili esplosi, dieci in tutto, finì addirittura nella cucina di un’abitazione.

Lo scenario dei nuovi Ligato

Con il padre boss in carcere, sarebbero stati i figli a prendere in mano le redini del clan a colpi di attentati intimidatori con pistole e persino bombe a mano ai danni di imprenditori e concorrenti. Emerge dall’indagine della Dda di Napoli – sostituto Laila Morra e Aggiunto Luigi Frunzio – che ha portato all’arresto di 18 persone ritenute legate al clan camorristico Ligato di Pignataro Maggiore.

Il Gip di Napoli, che ha emesso le misure cautelari, ha disposto il carcere per 15 indagati, tra cui i due figli del boss detenuto Antonio Ligato, il 35enne Antonio Raffaele, scarcerato nel 2015 e subito divenuto reggente della cosca, e la sorella 38enne Felicia; i due erano già in cella dal maggio 2018. Altre tre persone sono invece finite ai domiciliari. Sono stati contestati a vario titolo i reati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, danneggiamento seguito da incendio, lesioni personali aggravate, detenzione armi, violenza privata e minacce aggravate, nonché detenzione illegale di bomba a mano, aggravati dall’aver agevolato un sodalizio mafioso.

Nell’inchiesta, oltre alle dichiarazioni fornite ai magistrati, sono presenti anche alcuni dialoghi intercettati che hanno contribuito a svelare lo scenario degli affari illeciti tra l’agro caleno e Capua.

 

 

Nella foto di copertina: in alto da sx i capuani Agostino Maiello, Giuseppe Grieco e Alessandro D’Amato;

in basso i pignataresi Daniele Schettini, Felicia Ligato e Antonio Raffaele Ligato

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