Schiavone-Zagaria, il piano di morte. Spunta la “black list”: ecco uomini e donne del boss

Casal di Principe/Casapesenna. Se non fosse sopraggiunta l’offensiva dello Stato a relegare in prigione tutti i capi delle famiglie principali dei Casalesi, l’agro aversano avrebbe rischiato di far da scenario a un autentico bagno di sangue. Che tra Nicola Schiavone e Michele Zagaria non scorresse buon sangue non è di certo un mistero. Diversi collaboratori di giustizia hanno descritto il gelo che era calato tra le due cosche dal momento in cui il primogenito di Sandokan aveva preso le redini del clan più numeroso della federazione dei Casalesi.

 

Ora che proprio Nicola Schiavone però ha deciso di passare dalla parte dello Stato il quadro appare sì più chiaro, ma anche più inquietante. Nell’ultima udienza del processo che vede il boss di Casapesenna imputato per le minacce all’ex sindaco Giovanni Zara, il figlio di Sandokan ha delineato gli anni della rottura tra le due famiglie.

 

“Prima lo rispettavo davvero, poi, dopo l’omicidio di Michele Iovine, Zagaria cominciò a rivendicare Caserta. Da allora ci vedemmo poche volte, sempre alla presenza di Antonio Iovine e Nicola Panaro” ha dichiarato Schiavone. La tensione esplose quando il figlio di Sandokan ordina l’assassinio del nipote di Antonio Bardellino: un duplice omicidio, quello di Prisco e Salzillo, che passerà alla storia e decreterà il punto di non ritorno anche con Zagaria.

 

“Diceva che non sapeva niente – spiega Schiavone – ma da allora non ci vedemmo più”. I due continuarono ad avere rapporti ma tra le loro famiglie era ormai sceso il gelo: i rapporti si limitarono prima unicamente alla gestione del clan e al pagamento degli stipendi. Poi nell’idea dei due boss balenò l’idea che mai era stata presa in considerazione in quegli anni: far fuori il rivale.

 

Lo stesso Schiavone preparò addirittura una black list delle persone vicine a Zagaria e che potevano condurlo da lui per l’atto risolutivo: “Diedi a Iovine e Panaro una liste delle persone che accompagnavano Zagaria e dei posti dove si appoggiava”. Ci pensò lo Stato a vanificare quello che poteva diventare il più clamoroso omicidio della camorra casalese dai tempi di Bardellino.

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