Marcianise. Neanche gli studenti marcianisani si sottraggono al lungo elenco dei ragazzi costretti a trascorrere al freddo i primi giorni di lezione del nuovo anno. Le segnalazioni arrivano stavolta da un istituto superiore: si tratta del padre Salvatore Lener, ex Ragioneria, dove i ragazzi sono costretti a seguire le lezioni tra termosifoni tiepidi (la temperatura non sarebbe quella normale dopo l’accensione) e chiazze d’acqua in alcuni locali della struttura, dovuti probabilmente a infiltrazioni.
L’inverno deve ancora raggiungere il picco massimo ma le scuole sono già in affanno. Se ne sono accorti gli studenti che, dopo la lunga pausa per le festività natalizie, hanno fatto ritorno in classi, spesso, gelide. Colpa soprattutto di riscaldamenti malfunzionanti, di strutture vecchie e quindi termicamente inefficienti o magari di un riavvio non tempestivo degli impianti. Paradossalmente gli istituti più colpiti sono stati quelli delle regioni del Sud, spiazzati dalla recente ondata di gelo che si è concentrata proprio in quelle aree. A confermarlo sono i 10mila ragazzi che hanno risposto a un sondaggio online di Skuola.net. Circa 4 studenti su 10, infatti, raccontano che nella loro scuola negli ultimi giorni ci sono stati disagi legati al freddo e al malfunzionamento dei sistemi di riscaldamento (mentre il 59% dice che è tutto sotto controllo). Ma, se si analizza la situazione al meridione, i ragazzi che stanno combattendo con le basse temperature delle aule diventano la maggioranza (56%).
Tra le regioni più in difficoltà quelle appenniniche, complice la neve copiosa degli scorsi giorni: in Abruzzo e Molise quasi 6 studenti su 10 stanno patendo il freddo durante le lezioni. Ma il dato è diffuso omogeneamente in tutto il Sud, poco abituato a gestire condizioni del genere. La causa principale del freddo? Termosifoni che vengono accesi solo poche ore al giorno (lo dice il 28% del campione) ma anche una copertura a singhiozzo del riscaldamento (27%), con alcune parti degli edifici che non sono nemmeno raggiunte. E poi c’è, appunto, il problema – che chiaramente i ragazzi non possono quantificare ma percepire – della dispersione del calore. Secondo un’analisi condotta da Skuola.net sugli Open Data messi a disposizione dal Miur qualche tempo fa, quasi la metà – il 42% – dei 40.151 edifici attivi (che, dunque, ospitano quotidianamente gli studenti) ancora non è dotato di alcun sistema per la riduzione dei consumi energetici. La didattica, però, deve andare avanti.
Così i docenti e studenti si organizzano come possono: il 53% fa lezione regolarmente ma bardato con cappotti, giubbini, coperte, guanti o con le stufette elettriche accese in classe. In pochi casi è stata la scuola a predisporre alternative: il 4% si è spostato in aule più calde, al 2% è stato concesso di fare orario ridotto. Solamente il 6% degli studenti intervistati è rimasto a casa per decisione della scuola (ma un altro 10% non ci è andato lo stesso, facendo assenza). E se in molti (40%) hanno sopportato in silenzio la situazione d’emergenza, tanti altri hanno voluto protestare formalmente: nel 37% dei casi è stata un’iniziativa spontanea degli studenti, in 1 caso su 5 c’è stata un’alleanza tra alunni e docenti, il 3% delle volte sono stati direttamente i professori a sollevare la questione. In che modo si è sollevato il problema? Soprattutto con scioperi (21%) o con lettere collettive inviate a presidi e istituzioni scolastiche (17%). Decisamente più rare (5%) autogestioni, assemblee straordinarie, manifestazioni, occupazioni e sit-in