MADDALONI/SANT’ARPINO. Lo massacrarono di botte, sotto gli occhi della madre, solo perche’ si era permesso di dire a uno di loro che non si poteva fumare all’interno del vagone della metro.
Il fattaccio avvenne 18 settembre 2016 a Roma sulla linea B ai danni del 37enne Maurizio Di Francescantonio, colpito a calci e pugni alla testa.
Oggi è uscita la sentenza d’appello al tribunale di Roma.
Il giudice ha riconosciuto le attenuanti generiche applicando uno sconto ai tre casertani che in primo grado furono condannati a: 17 anni e 9 mesi di reclusione per il maddalonese Antonio Senneca e 14 anni a testa per Luigi e Gennaro Riccitiello di Sant’Arpino. Tutti detenuti. L’episodio ebbe un grande clamore nazionale.
Il pm aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado.
Il giudice ha invece condannato Senneca a 13 anni e mesi 9 per la recidiva infraquinquennale e i due Riccitiello alla pena di anni 10.
Nel collegio difensivo gli avvocati carlo Perrotta, Vittorio Guadalupi e Valletta.
Uno sconto di pena, nonostante la tremenda arringa del pm romano. Ora i legali attenderanno le motivazioni della sentenza per ricorrere in Cassazione con l’obiettivo di derubricare il reato di tentato omicidio in lesioni gravi.
Ad incastrare gli imputati, furono soprattutto le immagini della videocamera a circuito chiuso che immortalo’ l’intera scena con l’aggressione gratuita compiuta ai danni della vittima e della madre, anche lei presa a schiaffi dal principale imputato cui alla fine sono stati attribuiti pure i reati di lesioni (per le ferite riportate dalla donna) e di resistenza a pubblico ufficiale (quando venne arrestato dalla polizia).
La violenta aggressione era partita dopo che Di Francescantonio aveva chiesto ai tre di rispettare il divieto di fumo all’interno della metro romana. I tre, tutti con precedenti, quella domenica pomeriggio in un convoglio della metro B a piazza Bologna presero a calci e a pugni Di Francescantonio. L’unica a difenderlo fu la madre che tento’ di fargli da scudo, ricevendo anche lei dei colpi. I tre sono stati identificati grazie alle immagini delle telecamere di sorveglianza che ripresero tutte le fasi della aggressione.