Cancello Arnone. Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha assolto l’allevatore bufalino Vincenzo D’Alessio, titolare dell’allevamento di Cancello e Arnone in cui furono sequestrate, a seguito delle analisi praticate dall’Istituto Zooprofilattico di Teramo, quasi 130 bufale in cui era stato inoculato il vaccino contro la brucellosi, la cui somministrazione è vietata da parte dei privati.
La stessa Procura di Santa Maria Capua Vetere, non avendo ritenuta raggiunta la prova scientifica che il vaccino RB-51 potesse essere dannoso per la salute degli animali e dei consumatori, ha chiesto l’assoluzione di D’Alessio (difeso da Bernardo Diana) per i capi di imputazione più importanti, ovvero quello di adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari e di commercio di sostanze alimentari nocive, per i quali l’allevatore è stato assolto con la formula “perchè il fatto non sussiste”; per il terzo capo, quello di maltrattamento di animali, il pm aveva chiesto la condanna a otto mesi ma il Tribunale ha assolto l’imputato perchè “il fatto non costituisce reato”.
La scorsa settimana aveva avuto lo stesso epilogo il processo nei confronti dell’allevatore bufalino Rosalbo Natale, titolare di un allevamento a Cancello e Arnone, in cui nel 2013 furono sequestrate due bufale; in quel caso il procuratore aggiunto Antonio D’Amato aveva chiesto l’assoluzione per tutti i capi di imputazione. Le sentenza sembra segnare una tendenza giurisprudenziale che potrebbe chiudere la stagione dei sequestri degli allevamenti bufalini e dei caseifici per la produzione della mozzarella dop.
Furono migliaia le bufale sequestrate negli anni scorsi a causa dell’usanza di molti allevatori, spesso dovuta a mancanza di conoscenze tecniche, di praticare il vaccino contro la brucellosi ai capi sani e spesso in stato di gravidanza, servendosi anche di veterinari del servizio pubblico; l’ipotesi accusatoria di allora, che oggi la stessa Procura ritiene non attendibile scientificamente, si poggiava sull’assunto che il vaccino inoculato alla bufala sana potesse trasferirsi al suo latte, e se gravida, al bufalotto, facendolo ammalare, e creando un rischio concreto che si accendesse un focolaio della malattia. Circostanza che però la scienza non è riuscita a provare in modo attendibile.