
MARCIANISE. La Corte di Cassazione ha respinto il reclamo presentato da Luigi Trombetta, 69 anni, sancendo la validità della decisione del Tribunale di Sorveglianza di Bologna che aveva escluso la possibilità di concessione della semilibertà. Il provvedimento si basa su una pena definitiva di 30 anni inflitta per reati mafiosi e aggravati legati alla sua appartenenza al clan Belforte.
Trombetta, considerato in passato uno dei referenti principali della cosca di Marcianise e poi laureatosi in Giurisprudenza nel corso della sua detenzione, sconterà la sua pena fino al 14 luglio 2036. I giudici avevano già evidenziato che il detenuto non aveva maturato il periodo minimo richiesto per accedere ai benefici: nonostante i giorni di liberazione anticipata (circa 1.350, equivalenti a oltre tre anni e mezzo), l’ex boss non ha raggiunto i due terzi di pena espiata.
Inoltre, la sua richiesta è stata giudicata carente anche dal punto di vista del reinserimento sociale: solo quattro permessi premio, uno con scorta, e nessuna reale dissociazione dall’ambiente criminale d’origine.
Il nodo
Il suo difensore, l’avvocato Giuseppe Magliocca, aveva insistito su un presunto errore nel conteggio della detenzione, sostenendo che i periodi precedenti dovessero essere valutati in continuità con la condanna attuale. Ma la Suprema Corte, presieduta da Monica Boni con relatore Paola Masi, ha ritenuto infondate le motivazioni addotte.
Secondo i magistrati, il reato per cui Trombetta è detenuto dal 2010 va considerato in modo autonomo, anche se legato da un vincolo di continuazione con altri reati, e non può essere cumulato a fini di calcolo della pena. Inoltre, il ricorso è stato definito generico nella parte che contestava il giudizio negativo di meritevolezza, e quindi improcedibile.
La Corte ha confermato il rigetto e disposto anche il pagamento delle spese giudiziarie da parte del detenuto. Nonostante un comportamento ineccepibile in carcere e attività di studio svolte nel corso degli anni, Trombetta non ha mai mostrato segni di pentimento né preso le distanze dalla criminalità organizzata. A rafforzare la posizione della magistratura, il fatto che il clan Belforte – di cui fu figura apicale in assenza dei fratelli Salvatore e Domenico – risulti ancora operativo.