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Sotto sequestro i beni del fratello dell’ex boss

MARCIANISE/CAPODRISE. Il massimo organo giudiziario ha chiuso ogni spiraglio: i beni appartenenti all’ex elemento del gruppo Belforte, Claudio Buttone, fratello del pentito Bruno, restano sotto sequestro. È quanto deciso dalla sesta sezione penale della Suprema Corte, con a capo il presidente Orlando Villoni, che ha rigettato il ricorso avanzato dall’uomo e dalla consorte, Miriam Restivo, contro una precedente ordinanza del tribunale di La Spezia.

Il nodo delle dichiarazioni mai fatte

Il tribunale del Riesame ligure aveva già negato la revoca del sequestro preventivo, basato sul mancato rispetto dell’obbligo di segnalare mutamenti nella situazione economica da parte di Buttone, già condannato per associazione mafiosa. Secondo i giudici, l’ex criminale non avrebbe dichiarato adeguatamente i suoi beni. Parte del patrimonio sequestrato, pari al 50%, risulta intestata alla moglie, ma secondo l’accusa si tratterebbe di una semplice intestazione di comodo.

Ricorso respinto contro il collaboratore

L’ex affiliato aveva provato a difendersi sostenendo che, essendo diventato collaboratore, avrebbe troncato ogni legame con ambienti mafiosi, rendendo così innocua la sua condotta. Il suo avvocato ha anche sottolineato come l’obbligo di comunicare il patrimonio si scontrerebbe con le tutele previste per chi collabora con la giustizia. Ma la Cassazione ha rigettato ogni eccezione: l’elemento essenziale resta la mancata comunicazione, indipendentemente dal ruolo attuale o passato dell’imputato.

Diversa invece la sorte di Miriam Restivo. I giudici di Roma hanno accolto parzialmente il suo ricorso, stabilendo l’annullamento con rinvio della misura a suo carico. Il motivo? Quando fu emesso il decreto, il solo indagato risultava Buttone, rendendo quindi necessario un riesame della posizione della moglie, che non aveva un ruolo formale nel procedimento.

Il messaggio che arriva dalla Cassazione è chiaro: la mancata trasparenza sulle modifiche patrimoniali resta penalmente rilevante, anche per chi ha deciso di collaborare con lo Stato. Tuttavia, si apre uno spiraglio per valutare caso per caso l’effettiva responsabilità di eventuali co-intestatari.

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